impronta tassonomia

 

La parola “sostenibilità” fa ormai parte del nostro lessico quotidiano, eppure spesso è difficile inquadrarne il reale significato, definirne soglie e confini.
La nuova tassonomia dell’Unione Europea, avviata prima della pandemia e approvata il 31 dicembre, prova proprio a far luce su questa zona d’ombra indicando dei riferimenti certi per la definizione di attività sostenibili.
Il documento è stato redatto dal TEG, Technical Expert Group on Sustainable Finance, con l’impegno di 35 membri e oltre 100 consulenti in diversi settori e porta il titolo di: “Taxonomy: Final report of the Technical Expert Group on Sustainable Finance”.
Il documento ha solo 65 pagine ma con oltre 600 pagine di allegati tecnici che serviranno da guida sia per gli investitori che potranno scegliere con consapevolezza le attività più sostenibili in cui investire, sia per i governi per stabilire linee guida e sistemi di incentivi.
Il focus sono gli obiettivi ambientali, il percorso di transizione energetica e la transizione economica verso uno sviluppo a zero emissioni che va guidato per step in successione nel tempo. La Commissaria agli Affari Finanziari ha chiarito che questa tassonomia non è un vademecum che riguarda le politiche energetiche dell’Europa, bensì una guida per il mercato finanziario, ma nonostante questo chiarimento è evidente che questo documento va considerato come un segnale importante che influenzerà le scelte future in materia di energia.

 

TASSONOMIA ED ENERGIA
Il mondo dell’energia rappresenta un pilastro del regolamento sulla tassonomia che sembra abbia preso sulle sue spalle anche il compito di chiarire cosa si intenda per “energia green” e di dare indicazioni di sviluppo a riguardo.
Il testo pubblicato a fine 2021 considera anche il gas e il nucleare tecnologie “verdi”, a differenza del testo del 2020 che non le citava. Non è una sorpresa, ma la conseguenza di un ampio dibattito. Il tema fa discutere da molti anni ormai ma oggi, in piena rivoluzione energetica, è diventato centrale.

“Tenendo conto dei pareri scientifici e degli attuali progressi tecnologici, nonché delle diverse sfide di transizione tra gli Stati membri, la Commissione ritiene che il gas naturale e il nucleare abbiano un ruolo come mezzi per facilitare la transizione verso un futuro prevalentemente basato sulle energie rinnovabili”, scrive la Commissione.

Non certo un via libera senza limiti, in quanto entrambe le tecnologie verranno classificate con standard puntuali e rigorosi, affinché contribuiscano davvero a sostenere la transizione.
Ad esempio, per considerare “verdi” gli investimenti nel gas, le nuove centrali dovranno sostituire impianti più inquinanti. Un processo che ha due obiettivi: diminuire le emissioni con impianti di ultima generazione e stimolare la sostituzione tecnologica e il phase out del carbone.
Una soluzione ovviamente “di transizione”, nell’attesa che le rinnovabili diventino più affidabili e diffuse.

 

UNO SGUARO AI NUMERI: SONO REALISTICI?
Il manifesto della proposta è chiaro e condivisibile ma la parte realmente interessante, e potenzialmente problematica, risiede negli allegati tecnici in cui sono trascritti i valori minimi affinché gli impianti siano considerati “sostenibili”.
Per il gas la tassonomia fissa precisi parametri ambientali: gli impianti autorizzati entro il 31 dicembre 2030, non dovranno superare i 270 gr CO2 o una media annua di 550 kg CO2 su un periodo di 20 anni.
In aggiunta, per ottenere il lasciapassare, si dovrà dimostrare che la capacità a gas non può essere sostituita in modo efficiente con impianti rinnovabili e che va a rimpiazzare una capacità a più alte emissioni con una riduzione delle emissioni di almeno il 55%. Di fatto, un impianto a carbone.
Infine, le centrali a gas autorizzate dal 1° gennaio 2031 dovranno avere emissioni inferiori a 100 gr CO2/kWh.
È da sottolineare che sulla base di questi parametri nessuno dei progetti a ciclo combinato a gas attualmente in via di autorizzazione in Italia avrebbe i requisiti adatti e quindi potrebbe godere dei benefici.
Infatti, il limite di 270 grammi di anidride carbonica per ogni chilowattora prodotto non è raggiungibile neanche con le ultime tecnologie disponibili. La maggior parte dei progetti in sviluppo utilizza la migliore tecnologia CCGT disponibile, la classe H, le cui emissioni sono fino a 317 grammi.
I progetti quindi già depositati, in attesa di autorizzazioni e pronti al lancio si vedranno fuori da ogni tipo di eurofinanziamento o agevolazioni finanziarie, dovendo quindi far ricorso a risorse proprie o a capitali privati.

 

UN VANTAGGIO PER CHI HA PIÙ CARBONE? 
Per traguardare l’obiettivo di 270 grammi sarebbe necessario un mix di metano e idrogeno che non è al momento ancora tecnicamente fattibile su scala industriale ma è oggetto di numerosi studi.
Paradossalmente questa tassonomia agevola alcuni Paesi, come ad esempio la Germania, che si trovano indietro rispetto ad altri nel processo di phase-out dal carbone. Questi Paesi avranno infatti più siti a carbone da riconvertire a gas su cui sarà possibile raggiungere il requisito del 55% di risparmio delle emissioni. Avranno, inoltre, più tempo e più opportunità date dalla ricerca, per ideare progetti a prova di tassonomia.
Nel frattempo, gli Stati membri si sono schierati: tra i favorevoli alla proposta, soprattutto Francia, Finlandia e alcuni Paesi dell’Est per l’inclusione del nucleare, e chi parla di “greenwashing” e minaccia di ricorrere alla Corte di Giustizia. Tra questi ultimi, nelle prime ore, figurava proprio la Germania con una posizione che sembra essersi successivamente ammorbidita, forse contemperando gli effetti negativi che la tassonomia comporta sul fronte nucleare (in fase di avanzato phase-out) e quelli sui possibili sviluppi a gas dei siti a carbone tedeschi.

 

E IL RUOLO DEL MERCATO?
Come detto, tutta la discussione ha l’obiettivo di individuare le fonti che saranno eleggibili per la “finanza verde” e che quindi potranno godere di costi finanziari inferiori. Tuttavia, nel valutare i nuovi progetti gli investitori dovranno soprattutto considerare il loro potenziale di mercato.
Le aste del capacity market che si sono tenute proprio questa settimana per la consegna 2024 hanno definito il quadro degli impianti nuovi entranti che si candidano a sostituire la capacità a carbone in dismissione. Ma dopo questo round di aste, le prospettive del meccanismo appaiono incerte dal momento che il decreto MiTE in materia prevede la possibile cessazione del mercato della capacità nel caso in cui il sistema si presenti adeguato per tre anni consecutivi.
Se il capacity market verrà superato e in assenza di strumenti incentivanti adatti per trainare gli investimenti in nuove tecnologie, non resterà che affidarsi ad un mercato elettrico che, però, tra norme emergenziali e zone grigie di intervento dei soggetti regolati, vede ridurre i suoi margini. E senza un’aspettativa di ritorni adeguati dal mercato o da meccanismi ben calibrati, le agevolazioni finanziarie promesse dalla tassonomia non sembrano in grado, da sole, di rendere un investimento fattibile.

 

LA DECISIONE
Bruxelles, dopo un fervente dibattito sull’argomento, ha pubblicato la sua decisione – sindacabile – agli inizi di febbraio.
Il testo conferma che gas e nucleare sono considerati “fonti di transizione”, utilizzabili quindi per agevolare il passaggio verso la desiderata neutralità energetica entro il 2050. Una decisione “basata sulla scienza”, dicono dalla Commissione, probabilmente per non rischiare di venire travolti dalle istanze nazionali che polarizzano la discussione.
L’atto verrà ora vagliato dal Consiglio e dal Parlamento: in un clima reso ancora più teso dall’escalation della crisi ucraina che sta mettendo in evidenza tutte le fragilità del sistema energetico europeo e rende ancor più difficile disegnarne un futuro che appaia allo stesso tempo sostenibile e sicuro.