blackout social

 

Sono bastate 7 ore in una giornata qualsiasi per accorgerci di quanto i social network siano ormai parte della nostra routine quotidiana. Ma l’interruzione di servizio globale di Facebook, WhatsApp e Instagram che abbiamo vissuto a inizio ottobre ha avuto conseguenze ben peggiori per gli azionisti e per il gruppo di Zuckerberg che in poche ore hanno visto calare il valore delle proprie azioni del 5% e svanire introiti per oltre 100 milioni di dollari legati alle sponsorizzazioni. Un discorso analogo alle tante imprese che hanno scelto di promuovere prodotti e servizi sulle piattaforme in questione, danneggiate dall’improvviso down, ma anche ai normali utenti, che in molti casi dipendevano da Facebook anche per accedere a servizi di altri siti e piattaforme.

 

LA DOMENICA NERA
Il malfunzionamento di domenica è solo l’ultimo dei problemi che Facebook&co stanno affrontando negli ultimi tempi. Negli Stati Uniti da qualche tempo si parla molto della talpa che ha accusato pubblicamente l’azienda di aver chiuso un occhio su fake news e post incitanti all’odio pur di non ridurre il margine di profitto. Frances Haugen, un’ex dipendente ingegnere informatico addetta ai dati, avrebbe passato al Washington Post documenti che proverebbero la consapevolezza dei dirigenti di Facebook riguardo questa condotta: secondo la whistleblower (chi segnala gli illeciti in inglese) dopo le elezioni presidenziali del 2020 il sistema di sicurezza della piattaforma sarebbe stato deliberatamente depotenziato contribuendo di fatto all’attacco al Congresso del 6 gennaio.

“Pensavano che se avessero cambiato gli algoritmi per rendere il sistema più sicuro, la gente avrebbe speso meno tempo sui social, avrebbero cliccato meno le inserzioni pubblicitarie e Facebook avrebbe fatto meno soldi”.

 

LA CRISI ENERGETICA
Per quanto grave, tuttavia il blackout social di domenica non è quello più preoccupante degli ultimi tempi: a fine settembre in Cina il repentino aumento di richiesta energetica dopo la pandemia ha portato a una serie di blackout programmati che hanno di fatto interrotto la produzione di numerose imprese. Da un lato pesano le nuove rigide imposizioni del Governo cinese sui limiti di emissione di anidride carbonica, dall’altro si sta facendo sentire la scarsa disponibilità di scorte di combustibili fossili.
In entrambi i casi, questi blackout di natura così diversa (per Facebook pare si sia trattato di un’errata modifica della configurazione dei router che coordinano il traffico di rete) possono farci riflettere sulla nostra forte dipendenza da risorse intangibili ma finite, indipendentemente dal fatto che siano dati informatici o fonti energetiche. E se il malfunzionamento del sistema di telecomunicazioni ha come conseguenza l’impossibilità di restare connessi agli altri e di informarsi, la mancanza di continuità del servizio elettrico determina effetti a cascata su una serie di attività essenziali (si pensi solo al funzionamento degli ospedali e al recente caso di blackout in sala operatori a Bari).
Sono passati quasi 20 anni dal blackout nazionale del 2003 e, da quel momento, l’energia elettrica è diventata ancora più centrale nelle nostre vite a seguito della digitalizzazione di molte attività e al progressivo incremento dell’elettrificazione dei consumi, unica via per concretizzare gli obiettivi di riduzione delle emissioni.
È per questo motivo che la sicurezza degli impianti di rete e di produzione rappresenta sempre di più un requisito centrale del nostro sistema: per abilitare la transizione, per garantire servizi essenziali e consentire le tante attività quotidiane legate all’elettricità. Tra cui anche la ricarica dello smartphone!