Cavallo

Se è vero il detto che “la Storia si ripete” allo stesso tempo è vero che “l’Uomo ha la memoria corta”. Così come i capi di moda, che ogni tanto tornano sulle passerelle e nei negozi prêt-à-porter, anche le grandi crisi vanno e tornano e questo è il caso anche per le grandi crisi energetiche.
La crisi energetica che ha caratterizzato tutto il 2022 e si sta trascinando nel 2023 non è la prima che il nostro paese affronta e, probabilmente, non sarà l’ultima. Parliamo delle crisi energetiche degli anni ’70 che hanno portato ad uno dei decenni più difficili per l’economia italiana.

 

DAL BOOM ALLA CRISI
Dal dopoguerra fino a quegli anni l’Europa aveva assistito a un trentennio di crescita economica impetuosa, ricordato in Italia come “boom” o “miracolo economico” e in Francia come “Les Trente glorieuses”. Nei primi anni Settanta però la situazione cambiò: già nel decennio precedente la spinta indipendentista e nazionalista dei Paesi arabi, in cui era estratto più della metà del petrolio mondiale, aveva portato a una ricontrattazione con le grandi compagnie petrolifere che aveva causato un forte aumento del prezzo del greggio a livello globale.

Così come nel ’22 in Europa, a dare il calcio di inizio alla crisi del 1973 è stato un conflitto, passato alla storia come la Guerra dello Yom Kippur.
Il 6 ottobre del ’73, infatti, l’Egitto e la Siria attaccarono Israele da Nord e da Sud, puntando sull’effetto sorpresa.
L’esercito israeliano, dopo una grande difficoltà iniziale, riuscì ben presto a passare alla controffensiva, respingendo gli eserciti nemici fuori dai confini e arrivando persino a penetrare in Egitto. Il conflitto si intensificò sempre di più, con fasi critiche e perdite drammatiche, fino a far temere un conflitto globale. L’intervento degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, con la loro influenza, riuscì ad evitare un’ulteriore escalation di violenza e porta, infine, ad un cessate il fuoco.

 

LE CONSEGUENZE DELLA GUERRA
Il conflitto si chiuse in pochi giorni, ma le sue conseguenze sull’economia e nella politica di molti Paesi si estese nel tempo, fino a portare ad una delle crisi petrolifere più gravi della storia e notevoli ripercussioni economiche e sociali.
Infatti, per sostenere l’offensiva, i Paesi dell’OPEC (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio) decisero di applicare un forte aumento al prezzo del petrolio e la diminuzione del 25% delle esportazioni, oltre a un embargo per quegli Stati che avessero materialmente aiutato Israele.
Di colpo il prezzo del petrolio, che copriva circa la metà dell’energia primaria usata a livello globale, quadruplicò e in tutta Europa furono applicate misure d’emergenza per fronteggiare la crisi.

 

LE MISURE D’EMERGENZA
In Italia il primo provvedimento fu l’istituzione delle “domeniche a piedi”, una legge che vietava l’uso di mezzi a motore privati nei giorni festivi. Le strade delle città italiane di domenica si riempirono dei più inconsueti mezzi di trasporto alternativi: rispuntarono carrozze, cavalli, velocipedi del primo ’900, tandem e risciò. Cittadine e cittadini dovettero imparare ad affrontare in modo diverso i loro spostamenti in città e il ritmo di vita tanto che, in molti casi, riuscirono a trasformare un momento critico in un’occasione per cambiare le proprie abitudini.

Tra le altre norme emanate, il governo italiano stabilì limiti di velocità di 50 km/h in città e 120 km/h sulle autostrade, impose una drastica riduzione delle illuminazioni decorative (sia per quelle natalizie, visto il periodo, sia per le insegne pubblicitarie e dei negozi) e decretò la chiusura anticipata di locali, uffici e negozi. Persino il telegiornale fu spostato dalle 20:30 alle 20:00 per favorire il risparmio energetico nelle abitazioni private, orario rimasto fino ai nostri giorni.

 

LA CRISI ENERGETICA NEL RESTO DEL MONDO
Nel resto del mondo occidentale le cose non andarono meglio: negli Stati Uniti fu deciso che i veicoli con targa pari potevano acquistare carburante nei giorni pari e quelli con targa dispari nei giorni dispari, mentre anche Paesi Bassi, Danimarca, Norvegia, Belgio e Germania Ovest ricorsero alle domeniche senz’auto per cercare di limitare i consumi.

Il 5 marzo 1974 Israele si ritirò dal Sinai e in pochi giorni l’embargo petrolifero ebbe fine. La crisi avvantaggiò i Paesi esportatori – nel 1973 e 1974 l’Arabia Saudita, il maggiore produttore mondiale di greggio, registrò tassi di crescita del PIL del 20% circa – e le grandi compagnie petrolifere, che videro crescere notevolmente i loro profitti, mentre l’Occidente negli anni successivi si ritrovò ad affrontare una crisi economica e alti tassi di disoccupazione.
La crisi energetica del ’73 non si fermò di fronte a nessuna frontiera e ogni Stato la affrontò con le misure che ritenne opportune. Le cause scatenanti furono molte e interconnesse: il conflitto militare nel Vicino Oriente, la crisi economica dovuta alla svalutazione del dollaro – nel 1971, infatti, la in seguito all’abbandono del “gold standard” (che sancì la fine della convertibilità in oro della valuta americana) mise termine al sistema monetario internazionale in vigore dal dopoguerra – e la fine del colonialismo energetico nei Paesi produttori.

 

LA STORIA SI RIPETE
Locali chiusi alle 22:30, riduzione dell’illuminazione pubblica e domeniche senz’auto. Non stiamo quindi parlando delle ipotesi che circolavano meno di un anno fa per fronteggiare la crisi energetica acuitasi con il conflitto in Ucraina, o di memorie del periodo Covid, ma di quelle che vennero effettivamente messe in atto nell’inverno del 1973-74 in Italia, nel periodo cioè in cui fu coniato il termine austerity.

Non è difficile tracciare un parallelo con i giorni nostri, quando la mutata situazione economica, sanitaria e geopolitica ha causato l’aumento improvviso dei prezzi dell’energia su scala mondiale, questa volta trainati dal mercato del gas, il combustibile di riferimento del nostro tempo. Grazie alla mitezza dell’inverno e alla contrazione del fabbisogno energetico delle imprese, impegnate a far fronte a una difficile situazione, questa volta non siamo arrivati alle misure draconiane dell’inverno del 1973.
Ma la crisi odierna appare più persistente di quella degli anni ’70 e lo scenario complicato dal moltiplicarsi dei fronti, da quello geopolitico alla crisi climatica.

La storia ci insegna che è difficile semplificare le cause di una crisi, perché sono sempre dovute a una serie di concause intrecciate tra loro, che le rendono difficilmente prevedibili. E anche che è altrettanto difficile superarle senza un’azione coordinata su più fronti e un’unità di intenti sempre meno riscontrabile nel frammentato panorama internazionale.

E, come nel ’73, anche questa volta la crisi energetica ci ha insegnato quali comportamenti dobbiamo mettere in campo per rendere le nostre abitudini e stili di vita più sostenibili ed efficienti: saremo stati capaci, questa volta, di imparare la lezione?