ETS e crisi energetica

La crisi energetica sviluppatasi negli ultimi due anni ha portato sui giornali parole come ETS e certificati di emissione, ma pochi hanno spiegato di cosa si tratta. Eppure, in tempi di crescente attenzione alla sostenibilità è utile descrivere uno degli strumenti più importanti messi in campo dall’Europa per il contrasto del cambiamento climatico e come incentivo alla decarbonizzazione: il sistema dello scambio di quote di emissione di gas serra noto come ETS (Emission Trading System).

Questo sistema è basato su due concetti principali: su un tetto massimo alla CO2 producibile (“cap”) e su dei certificati di emissione che possono essere scambiati tra i vari operatori. Per questo viene denominato come sistema “cap and trade”. L’obiettivo è abbassare nel tempo l’asticella del cap raggiungibile e promuovere sempre di più l’efficienza, incoraggiando gli operatori più virtuosi.

Con questo sistema i grandi produttori di energia, le industrie più impattanti e le compagnie aeree che volano nello spazio interno europeo ottengono un limite di emissioni di gas serra. Le imprese di settori che non hanno appannaggi gratuiti, devono comprare sul mercato il proprio intero fabbisogno emissivo. Le imprese dei settori assegnatari di quote gratuite, invece, se alla fine di ogni anno superano il limite loro concesso, possono compensare acquistando dei certificati di emissione per mettersi così in regola. Se invece le loro performance emissive sono virtuose, possono vendere i diritti di emissione avanzati, guadagnandosi così un premio che rappresenta, allo stesso tempo, l’incentivo che il sistema fornisce a ridurre le emissioni nel settore.
Il sistema diventa progressivamente più ampio e incisivo attraverso l’applicazione a nuovi settori e la riduzione di quelli assegnatari di quote gratuite.

 

COSA SONO I CERTIFICATI ETS?
Ogni certificato di emissione ETS corrisponde al diritto di immettere in ambiente una tonnellata equivalente di CO2, ossia quanto assorbito da circa 33 alberi in un anno. I certificati di emissione prendono il nome di EUA (European Union Allowances) e, come detto, possono essere immessi sul mercato tramite un’asta oppure assegnati gratuitamente.

L’acquisto di certificati non dovrebbe rappresentare solo un tentativo di bilanciamento della CO2 emessa, ma un’azione attiva per il contrasto al cambiamento climatico. Infatti, quando i certificati vengono acquistati nelle aste periodiche, gli Stati che incassano il ricavato sono obbligati a spenderne almeno il 50% in attività a favore dell’ambiente e del clima.
Chi non rispetta le quote obbligatorie viene multato con una sanzione per ogni tonnellata di CO2.

Nel tempo, il sistema ETS è stato spesso criticato per alcuni nodi, arrivati al pettine in corso d’opera, quando si è trovato ad affrontato sfide difficili. Da quando è stato introdotto nel 2005, la struttura del mercato ETS ha subito molte modifiche e affinamenti dopo la messa alla prova sul campo. Interventi che hanno progressivamente permesso a questo mercato di esprimere segnali di prezzo significativi e che lo hanno portato ad essere un trend da tenere d’occhio come indicatore di cambiamenti in corso: un punto di riferimento sul costo ambientale della produzione e del consumo di beni e servizi per tutto il mondo.

Dal 2013 al 2020 il nostro Paese ha incassato 6,3 miliardi dall'ETS, di cui solo il 36% è andato per l’obiettivo climatico. È la quota più bassa tra i Paesi presi in considerazione nello studio.

ETS COME STRUMENTO CONTRO IL CAMBIAMENTO CLIMATICO
Come detto, il sistema ETS è stato pensato come strumento contro il cambiamento climatico. Uno degli strumenti nelle mani dell’Unione Europea, come il forse più conosciuto Green Deal.
Prima di tutto i certificati ETS, per puntare all’obiettivo per cui sono stati creati, devono mantenere un prezzo medio-alto (per quanto gestibile) in modo che disincentivino il rilascio di CO2 e incentivino davvero la ricerca per tecnologie meno inquinanti.

In secondo luogo, le leggi con cui l’Italia ha recepito le norme ETS dicono che il 50% dei ricavi aggiudicati all’asta è destinato ad essere assegnato rispettivamente al Ministero dello Sviluppo Economico (30%) e al Ministero dell’Ambiente (70%) – oggi ricompresi nel MiTE – per quanto riguarda i temi energetici. Dagli ultimi studi dell’Ecologic Istitute di Berlino, raccolti nel rapporto “L’uso dei proventi della vendita all’asta dell’ETS dell’UE sulle azioni per il clima”, risulta però che l’Italia non è stata virtuosa come altri Paesi europei nell’utilizzare questi proventi per i target richiesti dall’Unione Europea.

Pare infatti che, nel periodo preso in considerazione, che va dal 2013 al 2020, solo nel 2017 l’Italia abbia superato la soglia del 50% che andrebbe dedicata alle spese per azioni a favore del clima.
Nel periodo preso in considerazione, il nostro Paese ha incassato 6,3 miliardi dall’ETS, di cui solo il 36% è andato per l’obiettivo climatico. È la quota più bassa tra i Paesi presi in considerazione nello studio (Germania, Francia, Grecia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo e Repubblica Ceca).

 

CRISI ENERGETICA, ETS E CARBONE 
Il mercato ETS ha subito importanti oscillazioni in seguito alla difficile situazione geopolitica europea. Soprattutto in seguito ai rincari energetici da record, i costi dei certificati ETS sono letteralmente volati: fino a fine 2020 difficilmente si superavano i 30 euro a tonnellata di CO2, quasi sempre trattavano sotto i 20 euro. Poi i prezzi sono letteralmente esplosi, raggiungendo il valore massimo il 19 agosto 2022 sfiorando i 100 euro a tonnellata.

Grafico ETS

Ciò ha comportato un incremento sensibile della raccolta effettuata attraverso le aste ETS dal GSE nell’ultimo trimestre consuntivato (+15% per quasi 1 miliardo di euro complessivo) pur a fronte di una sensibile contrazione dei volumi (- 31%).
In realtà non si è trattato di un aumento improvviso, perché il rally è iniziato con la ripresa post-Covid e gli analisti avevano già previsto a gennaio un ulteriore aumento dei prezzi delle EUA in risposta all’aumento dei prezzi del gas.

Tuttavia, questi aumenti non hanno inciso sulla convenienza relativa tra produrre energia elettrica a gas rispetto all’uso del carbone: un incremento tanto significativo della quota di emissione, infatti, dovrebbe naturalmente penalizzare il carbone, che genera maggiori emissioni. Invece, la crescita ancora più spinta del prezzo del gas ha compensato questo effetto rendendo conveniente la produzione a carbone che, di conseguenza, è stata massimizzata ben prima che ciò fosse stabilito per decreto al fine di ridurre i consumi di gas.
Si tratta di un fenomeno inatteso e quasi paradossale a questi livelli di prezzo delle emissioni, figlio della complessità del momento che stiamo vivendo.

 

CAMBIAMENTI IN CORSO
Nel 2021, il sistema ETS è entrato nella sua quarta fase che durerà fino al 2030. Nel frattempo, l’Unione si sta dotando di obiettivi di abbattimento delle emissioni sempre più sfidanti. Il piano “Fit for 55” prevede di ridurre nel 2030 le emissioni del 55% rispetto ai livelli del 1990 fissando al 2050 la neutralità carbonica.
Insieme al “Fit for 55”, la Commissione ha proposto una serie di modifiche al sistema EU ETS, che ha come obiettivo una riduzione delle emissioni pari al 61% entro il 2030, nei settori interessati all’applicazione del meccanismo, prendendo come riferimento i livelli del 2005.

In particolare, la proposta punta ad includere nel EU ETS anche le emissioni del trasporto marittimo, eliminare gradualmente l’assegnazione gratuita di quote di emissione al trasporto aereo, attuare il regime globale di compensazione e riduzione delle emissioni di carbonio del trasporto aereo internazionale (CORSIA). Allo stesso tempo, è prevista una ulteriore stretta sul mercato attraverso la riduzione una tantum di 117 milioni di quote disponibili e l’aumento del tasso di riduzione annuale del 4,2% all’anno.
La Commissione propone inoltre di creare un nuovo sistema autonomo di scambio delle quote di emissione per gli edifici e il trasporto su strada al fine di aiutare gli Stati membri a conseguire i rispettivi obiettivi nazionali previsti dal regolamento. Secondo le prospettive, le emissioni di questi settori dovrebbero essere ridotte del 43% entro il 2030 rispetto al 2005.

Con il successivo piano REPowerEU, la Commissione ha integrato il “Fit For 55”, ulteriormente aumentando gli obiettivi in tema di sviluppo delle rinnovabili e conseguente abbattimento delle emissioni.
Si tratta di scenari che disegnano una sfida imponente per l’Europa e di un test di resistenza formidabile per l’Emission Trading Scheme quale principale strumento per indirizzare la transizione energetica dell’Unione. Scenari che devono inevitabilmente confrontarsi con quelli disegnati dalla crisi energetica per cercare di non mettere in conflitto gli obiettivi della decarbonizzazione con quelli di sostenibilità economica del sistema produttivo europeo.