Fabrizio Allegra
Fabrizio Allegra
Direttore generale Tirreno Power

Dopo l’annuncio da parte del ministro Roberto Cingolani di un possibile prossimo aumento del 40% dei prezzi elettrici del ‘mercato tutelato’, il rincaro senza precedenti della bolletta è la notizia del momento e anche oggetto di dibattito politico tra ricerca del colpevole e individuazione di possibili soluzioni tampone.
Lo scorso trimestre l’incremento fu di circa il 10% rispetto al precedente, contenuto a quel livello solo dall’intervento del Governo che destinò più di un miliardo di euro, proveniente dalle aste per i titoli di emissione, al contenimento della bolletta. Anche in questo caso, il Governo ha agito tempestivamente spostando per il prossimo trimestre gli oneri di sistema sulla fiscalità generale al costo di circa 3 miliardi, per mitigare i rincari.

Le cause sono tanto evidenti quanto difficili da manovrare: il forte rincaro del gas, che è la principale materia prima per la produzione elettrica, e la crescita rapidissima dei prezzi dei diritti di emissione di CO₂ (ETS).

Tutto è collegato alla crescita dei prezzi elettrici, partita un anno fa con la ripresa delle attività produttive post Covid e proseguita con una dinamica esplosiva: basti pensare che sul mercato italiano all’ingrosso, il MWh ha toccato in alcune ore di oggi il livello di 250 €, cioè 4 o 5 volte il suo livello medio stagionale. Ma c’è di peggio: nel mercato elettrico britannico, a inizio settembre, si sono raggiunti anche i 1.000 €/MWh.

 

PREZZI A TUTTO GAS MA MARGINI SOLO PER POCHI
Le cause sono tanto evidenti quanto difficili da manovrare: il forte rincaro del gas, che è la principale materia prima per la produzione elettrica, e la crescita rapidissima dei prezzi dei diritti di emissione di CO₂ (ETS), l’altra commodity di riferimento per il settore della produzione di energia.
Alcuni fattori evidenziano la complessità del contesto. La clamorosa crescita del prezzo del gas sui mercati internazionali non si accompagna a un aumento dei margini per gli impianti a ciclo combinato che, anche in un momento di tradizionale picco dei consumi qual è la prima parte dell’estate, non sono riusciti a coprire i propri costi sul mercato dell’energia. Ne consegue che gli impianti che fissano il prezzo sul mercato elettrico all’ingrosso non sono in utile, sebbene tale prezzo abbia raggiunto un livello molto superiore rispetto alla media del periodo. Questo perché l’aggravio non è determinato tanto da una domanda sostenuta, quanto da un costo della produzione reso esplosivo da cause esogene.

 

IL PARADOSSO DEL PREZZO DELLA CO₂
Altro fattore determinante sono i prezzi raggiunti dalle quote ETS, i permessi di emissione della CO₂. Anche qui si assiste ad una dinamica rapidissima con il valore della quota che quasi decuplica rispetto ai valori del 2016 e quasi raddoppia rispetto a quelli del 2019. Se si pensa che ciò avviene dopo molti anni di politiche europee di sostegno a un prezzo ritenuto troppo esiguo e incapace di dare un segnale al mercato, si potrebbe concludere che tali misure hanno ecceduto il loro obiettivo e che il tentativo di indirizzare gli esiti di un mercato è come addomesticare un animale feroce: a volte si rischia di essere sbranati. Si assiste, quindi, al paradosso di dover dedicare le risorse ottenute dalle aste ETS per ridurre quelle bollette che proprio il meccanismo dei diritti di emissione ha contribuito a far crescere in modo esorbitante. Si tratta di un provvedimento che, nell’emergenza, più di un Paese europeo ha messo in atto ma che non cura un problema che è anche legato alla progressiva finanziarizzazione del mercato degli ETS con il conseguente disaccoppiamento del suo andamento da quello dei fondamentali sottostanti e l’esposizione a comportamenti speculativi sul mercato.

 

GLI EFFETTI SULLA GENERAZIONE A CARBONE
Se qualche analista avesse prospettato anni fa un costo di 60 euro al 2021 per una tonnellata di CO non molti avrebbero ritenuto affidabile il suo modello di previsione.
Ora che uno scenario estremo è diventato reale si dovrebbe assistere a un phase-out accelerato degli impianti a carbone, messi di fatto al margine dal mercato ancor prima che da un indirizzo di politica energetica come quella contenuta nel PNIEC che ne prevede lo spegnimento al 2025. Tuttavia, nel contesto attuale, l’effetto dato dalla crescita del prezzo del gas supera quello dei diritti di emissione e, pertanto, gli impianti a carbone continuano a funzionare avendo un costo complessivo di esercizio mediamente inferiore di quelli a gas. Generando un’ulteriore contraddizione nella fase che stiamo attraversando.

Un prezzo elettrico tanto sostenuto può portare allo sviluppo delle rinnovabili.

…E SULLO SVILUPPO DELLE RINNOVABILI
L’altro elemento positivo della vicenda si potrebbe riscontrare nello stimolo che un prezzo elettrico tanto sostenuto può portare allo sviluppo delle rinnovabili: un obiettivo per cui abbiamo fissato target straordinariamente ambiziosi (e previsti a breve in ulteriore crescita) a fronte di un track record recente di nuove installazioni molto al di sotto delle aspettative. Tuttavia, gli ultimi piani di incentivazione per nuova capacità rinnovabile impongono, a fronte degli incentivi, un limite ai prezzi percepibili da questi impianti: non possiamo, quindi, aspettarci che questa fiammata faccia da traino per nuove installazioni, peraltro già pesantemente frenate dalla farraginosità delle autorizzazioni. Ecco, un vero incentivo per la transizione energetica sarebbe per certo dato da una reale sburocratizzazione degli iter autorizzativi per gli impianti a fonti rinnovabili.

Il tema è molto articolato e, al di là degli interventi emergenziali, avrebbe bisogno di un approccio sistemico.

COME COSTRUIRE UN SISTEMA SOSTENIBILE?
Proprio in questi giorni mentre, come dicevamo, in Italia si varano misure straordinarie, il Governo spagnolo ha provato a risolvere lo stesso problema imponendo una misura fiscale eccezionale che tassa gli extra-profitti di quegli impianti che non emettono CO. Un provvedimento tanto emergenziale, quanto draconiano che ricorda la nostra Robin Hood Tax del 2008, alla fine dichiarata incostituzionale.
Regolamentazione europea e nazionale da coordinare, dinamiche repentine sui mercati internazionali, pochi strumenti flessibili davvero utili per correggere i fallimenti del mercato. Tenere la barra dritta in questa tempesta è assai complicato e l’ultima spiaggia è ricorrere a meccanismi correttivi di urgenza per puntellare la stiva sperando che presto la bufera perda di intensità. Ma su questo non possiamo essere molto ottimisti, se lo stesso operatore di sistema, Terna, prevede che questo livello di prezzi delle commodity possa durare “qualche trimestre”.
Il tema è molto articolato e, al di là degli interventi emergenziali, avrebbe bisogno di un approccio sistemico. Che non necessariamente deve essere sviluppato nel lungo periodo o con un disegno troppo complesso: nel 2010, in Gran Bretagna si avviò un progetto di market reform che ha dato vita a una serie di misure coordinate, pronte in pochi anni di gestazione. Senza voler esprimere valutazioni sulla efficacia di ciascuno di quegli strumenti né tantomeno promuovere l’istituzione dell’ennesimo tavolo di lavoro, penso che da quella esperienza dovremmo apprendere il metodo.
Una visione d’insieme che valuta le interdipendenze tra le varie misure di mercato e non, e cerca di far convivere (e sopravvivere) le risorse necessarie per il funzionamento e la sostenibilità del sistema: le reti, le rinnovabili per traguardare la transizione e il gas per bilanciarle. Il tutto, auspicabilmente, a un costo ragionevole e il più possibile stabile per consumatore finale e il nostro sistema produttivo.